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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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CXXVI.

La vite.

 (28 ottobre 1837)

Che ddisce? pparlà ccoMmonziggnore?
Sor abbate mio caro, abbi1 pascenza,
Monziggnore per oggi nun udienza
Manco venissi2 ggiù Nostro Siggnore.

 

Lui ’ggni sàbbito sta in circonferenza3
Commonzù Bbuzzarè4 lo stampatore,
Peffastampà le vite c’oggni utore5
Se scrive6 peddàggusto a ssuEccellenza.

 

Sto gusto lo sa llui cosa je costa;
Perché, mmo cche lo sanno, spesso spesso
Je spidischeno vite pe’ la posta.7

 

Mo la massima è bbell’e stabbilita:
Abbasta che ssii nato, ar monno adesso
Chiunque more ha da lassà la vita.

 

 

 

 




1 Abbia. —

2 Nemmeno se venisse. —

3 In conferenza. —

4 Boulzaler. —

5 Autore. —

6 Si scrive, da stesso. —

7 Ciò accade continuamente a monsignor Carlo Emanuele Muzzarelli, uditore della Santa Rota, il quale stimola quasi ogni italiano che maneggi penna, a scrivere la propria biografia. Morendo poi gli autori istoriografi, egli ne va pubblicando le vite su tutti i giornali d’Italia. Nuova specie di mecenatismo.




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