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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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CXXVIII.

La commedia der trocquato.1

 (5 maggio 1843)

Dunqu’io jerzera, doppavé sserrato,2
Cenai, me prese sott’ar braccio Nina,
Fesce un giretto, eppoi drent’a Argentina
A vvéde’ sta commedia der Trocquato.

 

Ma vva’!3 un parmo d’ometto, un disperato,
Protenne de sgrinfià cco’ la reggina!4
E ssi er re lo mannò a la palazzina,
Io s’una forca l’averìa mannato.

 

Ma llui ch’er tibbi5 nun jannò a ffasciolo,6
S’appoggiò un par de sventoloni in fronte7
E sse fesce, perdio, com’un cetrolo.8

 

E cquanno aggnéde a lliticà ccor Conte?9
A penzà come mai quer futticchiolo10
Ciaveva11 sempre le risposte pronte!

 

 

 

 




1 Torquato Tasso. —

2 Sottintende: la bottega. —

3 Ma guarda! Ma vedi! —

4 «Pretendere di amorazzare con la reginaDuchessa o regina, è tutt’una cosa pel romanesco. —

5 Qui, tibbi vale punizione, condanna. Il Belli nota in altro. luogo: «Tuttociò che sommamente nuoce e colpisce, può essere un tibbi

6 Non gli garbò. —

7 «Si dette un paio di pugni sulla fronte.» —

8 Cetriuolo. —

9 Uno dei cortigiani che nel dramma figura come nemico del Tasso. —

10 Omiciattolo; perchè tale era forse l’attore che rappresentava il personaggio di Torquato. —

11 Ci aveva: aveva.




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