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Giuseppe Gioachino Belli Duecento sonetti in dialetto romanesco IntraText CT - Lettura del testo |
er dovere o er zervitore umbro.
Come vôi che m’intenna de l’usanze
De sti conti, mmarchesi e ccavajjeri?
Io ar zervizzio sce so’ entrato jjeri,
Pe’ llavà i piatti e ppe’ scopà le stanze.
N’omone arto1 co’ ddu’ bbaffi
neri,
Longhi come du’ remi de paranze,
Disce: —So’ ir cacciator di monzù Ffranze,
Che mi manna a pportà lì su doveri.2 —
Dico: —Ebbè, ddate cqua. — Ddisce:
—Che ccosa?
Je dico: —Li doveri che pportate. —
E nun me fa ’na risataccia, eh Rosa?
Ma gguarda sì cche omaccio
impertinente!
So un ca..o de st’usanze scojjonate,
Che li doveri lôro nun zo’ ggnente!
Questi sonetti politici, oltre all’essere al pari degli altri un capolavoro d’arte, sono anche una vigorosa manifestazione del pensiero italiano, e quindi un documento prezioso per la storia de’ nostri tempi. Se negli altri si trova dipinta con pennello maestro la vita intima del popolo di Roma, in questi si rivela la lotta da lui durata nella prima metà del nostro secolo centro il Governo papale. Quelli possono giovare all’etografo; questi allo storico. Tutti poi hanno uguale importanza, se si considera che racchiudono gli elementi di un intero dialetto, e di un dialetto che viene secondo a quello che meritò l’onore di diventar lingua comune. A questi sonetti dovrà attingere, come a fonte sincera ed inesauribile, chi voglia compilare un vocabolario dell’uso romanesco: il quale bisognerà pure che entri come terzo elemento nel Dizionario universale della lingua italiana, almeno per quella parte di locuzioni che mancano al fiorentino e agli altri dialetti toscani. Imperocchè così consigliano di fare la situazione e la importanza politica, di Roma, la pronuncia romana per comune consenso migliore della toscana, e quel fare largo dignitoso e magnifico, che si sente nel dialetto romanesco, il quale, secondo il Gioberti, tiene da vantaggio del latino; mentre la semplicità, la discioltura, il brio del toscano risentono del greco; così che, a parere di molti, i due dialetti si completano a vicenda, e sono entrambi elemento indispensabile a far perfetto il linguaggio e lo stile italiano.1
Per questi ed altri rispetti, ho fede che la presente raccolta non riesca sgradita agl’Italiani2. Darò ora ragione del modo tenuto nel compilarla.
«E mi dolgo soprattutto che presso noi sieno così scarse le monografie o gli studi speciali sulle epoche e sugli scrittori. I nostri concetti sono vasti, inadeguati alle nostre forze; e più volentieri mettiamo mano a lavori di gran mole, da cui non possiamo uscir con onore, che a lavori ben circoscritti e ben proporzionati a’ nostri studi. Così niente abbiamo d’importante su nessuno de’ nostri scrittori, e abbiamo già molte storie della letteratura. Presso gli stranieri non ci è quasi epoca e scrittore che non abbia la sua monografia e questo genere di lavoro vi è tenuto in grandissima stima… Una storia della letteratura è il risultato di tutti questi lavori; essa non è alla base, ma alla cima; non è il principio, ma la corona dell’opera.»
Io non posso al certo lusingarmi d’aver detto l’ultima parola intorno al Belli; sto pago d’aver detto la prima e di aver raccolto il materiale necessario a far conoscere questa nuova manifestazione del pensiero italiano.