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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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IX.

Er prestito.1

(1833)

Ma eh? Gessummaria! che monno tristo!
Si sse2 vedesse fa’ a li ggiacubbini,
Va bbè;3 ma er Papa ha da pijjà cutrini
Da un omo c’ha ammazzato Ggèsucristo!

 

Uh! rriarzasse la testa Papa Sisto,
Ch’empí zzeppo Castello4 de zecchini:
Ve direbbe: —Ah ppretacci malandrini!
C’era bbisogno de sto bbellacquisto?

 

Nun ciavete perdìo tanta de zecca,
Da cugnà mmille piastreggni minuto,
Senza fàlli5 vení fin da la Mecca?6

 

E ccottutto sto scannalo futtuto,
Maneggiate a ssan Pietro la bbattecca,7
Pebbuggiarà la ggente senza sputo! —

 

 

 




1 Questo sonetto allude, come l’antecedente, al prestito rovinoso contratto dal Governo pontificio con Rotschild; ma ci mancano testimonianze che sia del Belli.

2 Se si.

3 Va bene: sarebbe men male.

4 Castel sant’Angelo.

5 Farli. Il li si riferisce a cutrini, non a piastre. Per questa ragionevole sgrammaticatura, si veda la nota 5 al Sonetto Er deposito de papa Leone.

6 Qui Mecca sta per qualunque paese lontano e d’infedeli.

7 La bacchetta con cui dallo sportello del confessionale i penitenzieri maggiori di San Pietro, e d’altre chiese privilegiate, toccano leggermente la testa ai baciapile che s’inginocchiano davanti a loro, per essere assolti così a buon mercato dai peccati veniali.




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