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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XXI.

Er civico de guardia.1

Chi evviva? Chivvalà? Pss, ssor grostino,2
Nun ze risponne ppiù a la sentinella?
Voi volete finí dde bévvevino.
Ve dico chivvalà, Ddio serenella!3

 

Chi evviva?... ah, ssete voi, mastro Grespino?
Che! ve puzzeno sane le bbudella?
Eh, ssi avevo la pietra all’acciarino
Un antro po’ vve la fascevo bbella!

 

Cuanno la guardia dar zuposto v’urla,
Risponnete: si nno, vvienissi l’orco,
Cquà sse tira de netto, e nnun ze bburla.

 

Ma Ddioguardi lo schioppo me fa ffôco,
Co’ sto vostro sta’ zitto eh nun ve córco?
Bella cazzata de morí ppeggioco!

 

 

 




1 Questo sonetto e l’altro che viene dopo, già stampati nell’edizione romana, furono scritti nel 1831, e li mettiamo qui come in appendice al Civico de corata. A far poi conoscere che razza di milizia civica fosse quella che il Belli metteva tanto spietatamente in ridicolo, gioverà leggere un passo del manifesto indirizzato da papa Gregorio a’ suoi dilettissimi sudditi, il 5 aprile 1831, appena li Austriaci ebbero soffocati i primi moti liberali delle Romagne. Ecco le parole del Papa: «Ma se colla sincerità di riconoscenza la più viva ravvisiamo nell’Imperiale Reale Esercito Austriaco quelle elette schiere di Prodi, alle quali volle Dio riservato il trionfo sopra la perversità de’ rivoltosi, e con esso l’onore di rendere i suoi Stati alla Santa Sede, coronando con sì felice successo gl’impulsi incessanti di quella Religione purissima, che forma il più bell’elogio dell’Augusto e Potente loro Signore Francesco i, al quale indelebile gratitudine ci legherà perpetuamente; gloria sia pure e lode a quegli onorati cittadini, che riunitisi premurosi in Milizia Civica vegliarono indefessi sotto le armi, e fra i travagli di servizio il più stretto, alla salvezza della nostra persona, ed alla quiete di questa Città.» —

2 Nome di spregio. —

3 Esclamazione comunissima.




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