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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XXIX.

L’anima de papa Grigorio.1

(1846)

Stese appena le scianche2 er zor Grigorio,
Che l’anima jj’uscì dar peparone,3
E senza toccà manco er Purgatorio,
Annò der Paradiso in der portone.

 

— Ah4 Pietro! — Oh! M’arillegro e me ne grorio.5
Opri tu, ch’hai le chiave e ssei er padrone. —
Èccheme,6 e ffàmme strada ar rifettorio.7
Bè? opri! — Ah Pietro mio, nun jje la fône! —

 

Va là, riprova. — Gnente! — Ar buscio drento
C’è cquarche cosa? — Gnente! — Hai bbè sgrullato?8
Sine: e nun z’opre! — Dàlle qua un momento. —

 

Tièlle. — Ruzze, e la mappa nun cunvina!…9
Che strumenti so’ cquesti ch’hai portato? —
Oh bbuggiarà! le chiave de cantina. —

 

 

 

 




1 Questo sonetto, divenuto popolarissimo in grazia della vivacità della chiusa, la quale gli copre parecchi difetti, non è del Belli. Ad intendere la satira che racchiude, gioverà ricordare che Gregorio xvi aveva fama di uomo cui piacesse mangiar bene e bever meglio. —

2 Gambe. —

3 Naso grosso. —

4 Esclamazione vocativa che tiene il luogo di o, e che si pronunzia molto aperta. —

5 Il romanesco vero avrebbe detto grolio. —

6 Eccomi; cioè: eccomi pronto ad aprire. —

7 Gregorio era stato frate. —

8 Sgrullare vale sbattere. Si sgrullano i panni impolverati, i tovaglioli, ecc., e così le chiavi femine, per farne uscire quel che potesse essersi introdotto nel buco. —

9 Combina.




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