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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XXXII.

Er cardinale vero.

Naturarmente1 è ccosa naturale,
E bbasta a ddajje ’na squadrata addosso,2
Pe’ ppoi descìde’3 da tutto cuer rosso,
Che ssu’ Eminenza è ppropio un cardinale.

 

E ggnisuno sarà ttanto stivale
Da scannajjà ’na bbruggna inzin’all’osso,
Pe’ ppoi sartà cco’ ssicurezza er fosso,
E ddescìde’: è er tar frutto o er frutto tale.4

 

Fin che ddunque ha er color de peparoni,
E scarrozza a ssan Pietro in Vaticano,
È un cardinal co’ ttanti de5 cojjoni.

 

Metteje6 poi ’na mazzarella in mano,
Dàjje ’na camisciòla7 e ddu’ scarponi,
E allora te dirò: «quest’è un villano».

 

 

 

 




1 Naturalmente. —

2 Basta dargli un’occhiata. —

3 Decidere. —

4 Ecco il senso della seconda quartina: «Nessuno sarà tanto sciocco (stivale), da volere esaminar minutamente (scandagliare) una prugna sino al nòcciolo (osso), per poi giudicare con sicurezza (sartà co’ sicurezza er fosso), e decidere: è il tale o tal altro frutto; potendo bene riconoscerlo a prima vista dalla forma esteriore.» —

5 Con tanto di. —

6 Mettigli. —

7 Chiamano camisciòla una sorta di giacchettina, tanto corta, che arriva appena alla cintura. Un tempo la portavano non solo i villani, ma anche tutti i romaneschi veri: ora è andata in disuso insieme con que’ brutti calzoni a campana, stretti al ginocchio e larghi a’ piedi.




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