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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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LV.

L’impicciatorio1 der padre-curato.

Dio nu l’ha ffatto pe’ spiegà er Vangelo
Sto sor Padre-curato don Petronio.
Un po’ ppiú mm’addormivo io, sor Antonio,
Bello che in chiesa,2 e cc’è mancato un pelo.

 

Che sso cche ss’è impicciato!…3 Er monno, er celo,
L’inferno, er purgatorio, er matrimonio,
Li farisei, le pecore, er Demonio,
L’acqua, er vento, la nebbia, er callo, er gelo...

 

Eppoi, pe’ cconnimento4 a st’inzalata,5
’Gni du’ parole, tosse,6 raschia,7 sputa,
E sse mette a strillà: sserva mannata!8

 

Ma sta serva chi è? cchi cce la manna?
Dove va, ccosa vô? cquanno è vvenuta?
Come se chiama, Lia, Stella, Susanna?...

 

 

 

 

 




1 L’imbroglio, il pasticcio. —

2 Benché fossi in chiesa. —

3 Che so io che cosa s’è imbrogliato! —

4 Condimento. —

5 Chiama così la predica confusa del curato, perchè v’ha infatti una certa insalata composta di molte erbe di vario sapore ed odore, che si ammannisce per lo più dai frati, e che dicesi particolarmente misticanza (da misticare, «mescolare»). —

6 Tossisce. —

7 Spurga. —

8 Serva mandata (osserva i comandamenti di Dio), che il Romanesco intende: la serva mandata.




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