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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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XX.

Le capate.

 (10 gennaio 1832)

Co st’antre ammazzatore1 sgazzerate2
Ch’hanno vorzuto3 arzà4 ffôra de porta,5
Nun ze6 disce bbuscìa che Rroma è mmorta
Più ppeggio de le bbestie mascellate.

 

Dove se 6 gode ppiù com’una vôrta
Quer gusto er venardí dde le capate,7
Quanno tante vaccine indiavolate
Se 6 vedeveno annà ttutte a la sciòrta?8

 

Si9 scappava un giuvenco o un mannarino,10
Curreveno su e ggiù ccavarcature11
Pe’ Rripetta, p’er Corzo e ’r Babbuino.12

 

Che rrìde’13 era er vedé ppe’ le pavure
L’ommini métte’ mano14 a un portoncino,
E le donne scappà cco’ le crature!15

 

 

 

 

                                                                                             




1 La pubblica ammazzatoia. —

2 Voce di spregio. —

3 Voluto. —

4 Alzare. —

5 Del Popolo. —

6 Si. —

7 Erano detti capate que’ branchi di bestie vaccine che s’introducevano in Roma disciolte, nel giovedì e venerdì di ogni settimana. —

8 Alla sciolta. —

9 Se. —

10 Mandarino. —

11 Butteri a cavallo. —

12 Le tre vie che mettono capo alla Piazza del Popolo. —

13 Che ridere ecc. —

14 Metter mano per entrare. —

15 Creature.




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