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Giuseppe Gioachino Belli
Duecento sonetti in dialetto romanesco

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LVI.

Li canterini nottetempi.1

 (22 aprile 1834)

Si2 dda du’ ora inzino a ssei d’istate,
E in ne l’inverno inzin’a ssett’e a otto,
Voi sentite pe’ strada un giuvenotto
Sorfeggià mmille ariette sfiorettate;

 

Tramezzo a ttanti trilli e sgorgheggiate
Potete puro3 dí’: — Cquer musicotto
Ha una pavura che sse4 caca sotto; —
E er grancio, ve dich’io, nu’ lo pijjate.5

 

Jerzèra uno cantava a la Missione:6
«Alesandro che ffai?»7, e all’aria bbujja
Se sentì rrepricà: «Mmaggno un boccone».

 

Avete visto mai ladro e ppatujja?
Accusí llui: pijjò presto un fugone,
Che annò a sbàtte’ le corna in de la gujja.8

 

 

 

 

 




1 Notturni. —

2 Se. —

3 Pure. —

4 Si. —

5 Non lo pigliate. —

6 Chiesa e cenobio sulla piazza di Monte Citorio. —

7 Emistichio di Metastasio, che a tempo de’ nostri padri si udiva spessissimo a notte risuonare nel buio di Roma. —

8 Aguglia. L’obelisco eretto in mezzo alla piazza.




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