Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText |
Giuseppe Gioachino Belli Duecento sonetti in dialetto romanesco IntraText CT - Lettura del testo |
SONETTI
CONSERVATI DALLA TRADIZIONE POPOLARE
—
AVVERTENZE
INTORNO ALL’ORTOGRAFIA E ALLA PRONUNZIA
DEL DIALETTO ROMANESCO
La consonante raddoppiata in principio di parola, indica che deve pronunziarsi con forza. Quando il senso lo permette, si appoggia la prima delle due consonanti sulla voce finale della parola antecedente: per esempio: a ppietà si pronunzia ap‑pie‑tà; tu ssentirai, tus‑sen‑ti‑rai; ma cche ddiavolo, mac‑ched‑dia‑vo‑lo; ecc.
Le sillabe scia, sci, scio, sciu, e particolarmente sce che s’incontra spessissimo, quando stanno in vece di cia, ci, cio, ciu, ce, come in camiscia (camicia), calisci (calici), voscione (vocione), sciuco (ciuco, piccolo), disce (dice), filisce (felice), e simili, devono pronunziarsi con uno strisciamento piano ed uguale in tutta la sillaba, non con quel colpo aspro che si suol dar loro nella lingua comune, com’è, per esempio, quando leggiamo: floscio, fascio; nè tampoco così dolce che somigli al g francese. Si avverta che la c si muta in sc, quando è in luogo dove non si richiede che venga raddoppiata. Così dirai: È ttroppo sciuco, ma dovrai dire altresì: È cciuco.
Dopo una consonante, al posto dell’s si trova sempre una z, che si pronuncia forte; ma quando la z non istà per s, ritiene la regolare pronuncia italiana. Vi si dice un zero dolcemente, ma si dirà conzonante, un zole, er zole colla z ben aspra.
Si o ssi vale se congiunzione condizionale; se o sse, e dopo una consonante ze, vale si affisso.
Al posto del gl c’è sempre la doppia j, che a prima giunta può parere soverchia (fijji, figli); ma non lo è perchè scrivendosi a mo’ d’esempio con una sola j la parola fiji, i non Romani sarebbero indotti a leggerla con un suono dolce e rapido, quasi fosse una sola sillaba, come nell’italiano guajo, e non col suono forte de’ Romaneschi, che la pronunziano in due tempi distinti : fij-ji. S’oda un verso del Belli:
«Desiderà li fijji, eh, sora Ghita?»
È d’avvertire, che il popolo romano per figlio, oltre che fijjo, usa anche fîo, massime quando parla con ischerno come quando dice: Eh! bbér fîo, come dicesse: Eh! Signorino!
Nun e il suo troncamento nu’ valgono non.
Pe’ o ppe’ è sempre troncamento di per; co’ o cco’, di con.
Al posto degli articoli i e gli, i Romaneschi mettono costantemente li.
In ner, che talvolta, secondo i capricci dell’eufonia, muta in in der, vale nel, e fa al plurale in de li (nelli). In ne lo e in de lo tengono il posto di nello, e fanno al plurale in ne li, in de li (negli).
In ne la e in de la valgono nella, e fanno al plurale, in de le (nelle).
Ched’è o chedè (che il Belli scrive quasi sempre ch’edè) vale che cos’è. È forse una corruzione del quid est latino; oppure è fatto per ragion d’armonia, come quando noi per o congiunzione, seguendovi una parola che cominci per vocale, facciamo od.
Si sono contrassegnati coll’accento grave o acuto (a seconda che la voce è larga o stretta) que’ troncamenti d’infiniti, che i Romaneschi pronunziano accentati sull’ultima vocale, come parlà (parlare), avé (avere), sentì (sentire), ecc.; e coll’apostrofo quelli che sogliono pronunziare coll’accento sulla penultima, come êsse’ (essere), véde’ (vedere), vìve’ (vivere), ecc. — Si noti pure che i Romani per l’infinito vedere talora fanno véde’, e tal altra vedé, a capriccio: Sémo annati a vvedé la festa, e vvoi nu’ lla volete véde’?
Abbiamo contrassegnato coll’accento acuto, o col grave, le vocali e ed o, soltanto nel caso che la loro pronunzia debba essere l’opposto della comune, o se ne discosti sensibilmente.
L’accento circonflesso, come ogn’altro segno ortografico, compie nel dialetto romanesco gli stessi uffici che nella lingua comune, e le vocali da esso contrassegnate devono pronunziarsi larghe, ma non mai allungate o doppie, come talvolta usano i Francesi.
Gioverà anche di avvertire che davanti a’ verbi che cominciando colla sillaba ri, significano ripetizione di azione, i Romaneschi aggiungono quasi sempre un’a: aritorno (ritorno), aripete (ripete), arisponne (risponde).