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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1343. Er zor Giuvanni Dàvide

 

Un ladro che sse1 ttrovi, poverello,
cor laccio ar collo e ’r boja su le spalle,
si2 in quer punto jannassi pe le palle
la vojja3 de cantavve4 un ritornello,

 

sarebbe un zuccherino appett’a cquello
che ccanta adesso da tenore a Vvalle,
co ccerte note sue d’assomijjalle
ar chiudese e a l’uprisse5 d’un cancello.

 

E llui, che ssa in cusscenza quer che vvale,
e, ppe cquanto s’ajjuti a rregolizzia,
trema pe la staggion de carnovale,

 

co cchi jjarimettesse6 er fiato in bocca
sce spartiría7 d’accordo e de ggiustizzia
li du’ mila scudacci che sse scrocca.

 

10 novembre 1834

 




1 Si.

2 Se.

3 Gli andasse per le palle la voglia, gli saltasse il ticchio.

4 Di cantarvi.

5 Al chiudersi e all’aprirsi.

6 Gli rimettesse.

7 Ci spartirebbe.

 

 






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