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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1424. Li pericoli der temporale

 

Santus Deo, Santusfòrtisi,1 che scrocchio!2
Serra, serra li vetri, Rosalia;
ché, ssarvoggnuno, viè una porcheria,3
te sfraggne,4 nun zia mai,5 com’un pidocchio.

 

Puro6 lo sai quer c’aricconta zia
c’assuccesse a la nonna der facocchio,
c’arrivò un tòno e la pijjò in un occhio,
che mmanco poté ddí ggesummaria.

 

E la sòscera7 morta de Sirvestra?
Stava affacciata; e cquella je disceva:
«Presto, ché ssarifredda la minestra».

 

E vvedenno8 che llei nun ze9 moveva,
l’aggnéde10 a stuzzicà ssu la finestra...
Cascò in cennere11 llí cco cquanto aveva!

 

13 gennaio 1835

 




1 Sanctus Deus, Sanctus Fortis, etc.: trisagio angelico che si recita, segnandosi, al balenare, o allo scoppiar del tuono.

2 Quasi croccamento: lo scoppio elettrico.

3 Fulmine. La plebe ha ripugnanza di chiamarlo col suo nome.

4 T’infrange.

5 Non sia mai.

6 Pure.

7 Suocera.

8 Vedendo.

9 Non si.

10 L’andò.

11 Crede il nostro popolo che il fulmine passando presso una persona, la incenerisca, lasciandole nulladimeno tutte le forme del corpo e delle vesti, che si dissolvano poi al minimo urto.

 

 






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