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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1622. Chi ccerca trova

 

Se l’è vvorzúta1 lui: dunque su’2 danno.
Io me n’annavo in giú pper fatto mio,
quann’ecco che l’incontro, e jje fo: «Addio».
Lui passa, e mmarisponne cojjonanno.

 

Dico: «Evviva er cornuto»; e er zor Orlanno3
(n’è ttistimonio tutto Bborgo-Pio)
strilla: «Ah ccaroggna, impara chi ssò io»;4
e ttorna indietro poi come un tiranno.

 

Come io lo vedde5 cor cortello in arto,6
co la spuma a la bbocca e llocchi rossi
cúrreme7 addosso pe vvení a l’assarto,8

 

m’impostai cor un zercio9 e nnun me mossi.
Je fesci ttre antri10 passi, e ar quarto
lo pres’in fronte, e jje scrocchiorno l’ossi.11

 

4 settembre 1835

 




1 Se l’è voluta, l’ha voluta.

2 Suo.

3 Il tagliacantoni, lo spaccamontagne.

4 Chi sono io.

5 Appena io lo vidi.

6 In alto.

7 Corrermi.

8 All’assalto.

9 Con un selce.

10 Gli feci fare tre altri.

11 Gli scricchiolarono le ossa.

 

 






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