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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1654. L’inguilino antico

 

Doppo tant’anni v’annate inzoggnanno1


ch’io muto casa? Uhm, mmanco per idea.
Saranno scinquantanni, eh Dorotea,
che stamo cqui? E ssicuro che ssaranno.

 

Se2 fa ssubbito er conto. Io scentrai quanno
ebbe3 lo sturbo che mme mòrze4 Andrea.
M’aricorderò ssempre cche ffu llanno
che vvenne a Rroma l’úrtima chinea.5

 

Sto bbúscio6 inzomma io me sce invecchiato;
e oramai co ttantanni de piggione
sai quante vorte me lo ccrompato?7

 

Allora ariscodeva8 er zor Aimme,9
poi venne un oste, e mmo stantro10 padrone
c’ha ppagato la casa sscimme sscimme.11

 

18 settembre 1835

 




1 Vi andate sognando.

2 Si.

3 Ebbi.

4 Mi morì.

5 «L’ultima Chinea»: nel 1787.

6 In questo buco.

7 Me lo sono comperato.

8 Riscuoteva.

9 « Haim», famiglia ora estinta.

10 Ora quest’altro.

11 A vil prezzo.

 

 






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