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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1666. La risípola

 

«Se 1 «Chi è?» «Ssò io».2 «Chi io?» «Luscia».
«Chi Lucia?» «La madreggna de Pasquale».
«Ôh, addio, Lucia. Che! siete stata male
« stata pe spallà,3 ssiggnora mia».

 

«Poverina! E quant’è?» «Da sto Natale
sin’ar giorno de pasqua bbefania».
«Oh vedete! E con quale malattia
«Cor una bbona porcheria mortale».

 

«Porcheria? E sarebbe?... Animo: lesta».
«Eh... ssarebbe che... inzomma è cquer gonfiore
che ppijja pe la faccia e ppe la testa».

 

«Dunque dite risípola». «Uh Ssiggnore!
Zzitta pe ccarità cché ssinnò4 cquesta
aritorna da capo e cce se more».5

 

22 settembre 1835

 




1 Si può?

2 Sono io.

3 Sono stata per morire.

4 Se no: altrimenti.

5 Ci si muore. Crede il volgo che se dopo avuta la risípola se ne faccia menzione pronunziandone il nome, essa ritorni ad assalire chi n’era guarito. Perciò si studiano di farsi intendere per via di perifrasi e definizioni, e dovendole pure assegnare un nome la dicono porcheria, come chiamano anche il fulmine una porcheria.

 

 






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