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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1668. Er comprimento a la siggnora

 

Fatt’è che quanno in ne l’usscí1 da messa
j’ho ddetto cona bbella ariverenza
«Serva de vusustrissima, Eccellenza»,
lei me s’è mmessa a rride,2 me s’è mmessa.

 

Eh, ppe ggarbo co mmé cce ppascenza:3
io voi nun me guardate che ssò4 ostessa,
ché cquarche pprincipessa e pprincipessa
vvenicce5 a imparà la conveggnenza.

 

Eppoi j’ho ddetto: «E sta regazza ch’essce
è la sua e dder zusiggnor marito?
Com’ha spigato! Eh, la malerba cressce».6

 

Er ride7 allora a llei je s’è infortito
che sguizzolava tutta com’un pessce:
seggno ch’er comprimento l’ha ggradito.

 

23 settembre 1835

 




1 Nell’uscire.

2 A ridere.

3 Con me ci vuol pazienza, convien cedere.

4 Sono.

5 Può venirci.

6 Questo proverbio volgare si ascolta applicare frequentemente con una sorprendente bonomia, quasi una frase che spiegasse in semplice e general modo ogni aumento della viva natura.

7 Il ridere.

 

 






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