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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1816. Er regazzo in zentinella

 

Embè? vviengo, o nnò? M’opri, Luscia?
Nun te chiedo antro1 che sta vorta sola.
Che ppaur’hai? te dico una parola
in piede in piede e mme ne torno via.

 

Tíreme2 er zalissceggne3 Luscïola;
sbríghete, che mmommó4 è la vemmaria
der giorno, e llarba5 ce ffà6 la spia.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

 

Come?! è ppeccato er parlà da viscino?
Oh ttu, ccristiana mia, sei mórto7 addietro,
e cconfonni accusí llacqua cor vino.

 

Si8 ttu cchiudi a ddispetto der Vangelo
la tu’ porta ar tu’ prossimo, san Pietro
te serrerà ppoi lui quella der celo.

 

20 marzo 1836

 




1 Altro.

2 Tirami.

3 Il saliscendo.

4 Or ora.

5 L’alba.

6 Ci può fare.

7 Molto.

8 Se.

 

 






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