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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1869. Ar zor professor Pavolo Baròni1

 

S’ariverissce, sor dottor Baròni.
Eh? cche ddirà? Cce chiamerà vvillani
pe avé ffatto un sproloquio2 ar zor Tavani,3
e a llei finora un ber4 par de cojjoni.5

 

Cosa !6 co sti tempi bbuggiaroni
chi ha ppotuto ggirà? mmanco li cani.
Ccusí,7 oggi e ddomani, oggi e ddomani,
sscivolati8 ggià ddumesi bboni.

 

Bbasta, speramo che llei nun ce meni;9
e ssimmai je piascessino10 l’inchini,
n’avémo er collo e ’r cuderizzo11 pieni.

 

Sor professore mio, Dio lo distini
a ttrovà dapertutto mal de reni,
cianche12 rotte e millantri13 cancherini.

 

16 marzo 1837

 




1 Distintissimo chirurgo, creato direttore della sanità militare col grado di colonnello.

2 Lunga cicalata.

3 Vedi qui avanti il son. intit.: Ar zor Lesandro Tavani.

4 Bel.

5 Cioè: «nulla».

6 Vuole.

7 Così.

8 Sono sdrucciolati via.

9 In senso di «percuotere».

10 E se mai le piacessero.

11 Osso sacro.

12 Gambe.

13 Mille altri.

 

 






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