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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1916. L’erede

 

Me dimannate er padroncino mio
che vvita fa da quanno è rricco-maggna?1


Spenne e spanne a la sceca,2 e arisparaggna3
su le limosine e ’r zalario mio.

 

Er giorn’istesso che jje morze4 er zio
e pprincipiò ppe llui quela cuccaggna,
attaccò un leggno e sse n’annò in campaggna,
lassanno er morto ne le man de Ddio.

 

Passata poi ’na sittimana o ddua
tornò a Rroma cor velo sur cappello.
Ma cche ppiaggneva? l’animaccia sua?

 

Sai dove 5 le lagrime? in scurtura
scritte sin che ne vòi6 co lo scarpello
soprer cuperchio de la sepportura.

 

4 marzo 1837

 




1 Riccone.

2 Spende e spande a la cieca.

3 Risparmia.

4 Gli morì.

5 Sono.

6 Vuoi.

 

 






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