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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1946. L’abbonnanza pe fforza

 

Pe lo scacarcio1 intanto, mastr’Ipolito,
c’un giorn’o llantro je cacciamo l’occhi,2
er zor Grigorio3 er pan da dubbaiocchi
ce l’ha ffatto arifà4 ssiconno er zolito.

 

Giàa, ttuttincetto: tutto manipolito.
Nun c’è ggrano! No, eh? Ppoveri ssciocchi!
Si5 nun c’è ggrano sce 6 bboni stocchi.
Si nun ce ll’hanno lo pijjino a nnolito.7

 

Disce:8 chi sse9 fa ppecora a sto monno
er lupo se la maggna. Dunque addosso.10
L’urioni11 hanno d’avé cquello che vvonno.

 

ccavemo imparato la scoletta12
vederai la vaccina a mmezzo-grosso,
e er vino a dducudrini la fujjetta.13

 

30 maggio 1837

 




1 Paura.

2 Vedi il sonetto intitolato La priscissione de’ San Pietro.

3 Gregorio xvi.

4 Rifare. Il Governo per mantenere questa mèta spendeva ogni giorno 800 scudi. Sono curiosità governative da conoscersi i due editti 22 maggio e giugno. Fra le altre cose, il primo diceva aversi riscontri sicuri che dalle Marche abbondevole grano sarebbe presto venuto. Il secondo diceva aversi riscontri sicuri che dalle Marche, difettose di grano, non ne sarebbe venuto, e perciò doversi chiamare dall’estero.

5 Se.

6 Ci sono.

7 Nolo.

8 Dice il proverbio.

9 Si.

10 Dunque diamo addosso.

11 I rioni.

12 Il comodo sistema.

13 A due quattrini la foglietta. Il quattrino è 1/5 di baiocco.

 

 






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