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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1954. Er modello1

 

Lei entri in d’uno studio de pittore
e llodi quarche cquadro terminato:
sente subbito :2 «Ggrazzie, siggnore;
ma cche vvò vvede?3 è ttutto prossciugato.

 

Eppoi sta ttroppo male assituato:
a sto lume che cqui4 ppropio sce more.
Manco se scrope5 com’è ddiseggnato:
nun ce se ccapì mmanco er colore.

 

Che jje ne pare? Ggià, è ’na prima prova...
E l’impasto? er maneggio der pennello?
Dichi6 la verità, ccome lo trova?

 

A li mi’7 quadri io nun je do apparecchio
d’avvelature8. Llà, lo guardi in quello:
je farà ppiú ffigura in ne lo specchio».

 

11 giugno 1837

 




1 Agevolmente s’intenderà che qui parla un di coloro i quali servono di modello agli artisti.

2 Dire.

3 Che vuol vedere?

4 A questo lume. Il che qui è un ripieno.

5 Neppure si scopre.

6 Dica.

7 A miei.

8 Velature.

 

 






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