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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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79. La protennente1

 

Ma nnun je róppe er prezzo,2 ché ssei bella:
tirete le carzette de seta:3
buttà indove passi la mortella:4
fàtte incide una statua de greta.

 

Quanto faressi mejjo a statte quieta,
e arisparmiatte er fiato a le bbudella!
Co cquella faccia de scipoll’e bbieta5
sai chi mme pari a mmé? Ciunciurumella.6

 

, smena er fiocco,7 bbellezza der monno,
strigni er bocchino! Auffa8 li meloni!
e si auffa la dài manco la vonno.

 

Ciài pijjato davero pe ccojjoni?
Erbetta mia, te conoscemo9 a ffonno.
Mmaschera sai ch’edè? ttu nun me soni.

 

9 ottobre 1830

 

 




1 La pretendente: vana.

2 Non avvilirti.

3 Dicesi a chi si attribuisce un grado che non gli compete.

4 Segno di festa.

5 Bietola.

6 Era così soprannominata una sozza donnaccia da trivio.

7 Dimena, agita l’ano, come chi si pavoneggia.

8 Dell’aufo, gratis, veggasi la nota… del sonetto

9 Ti conosco, erbetta: così avvisansi coloro che credonsi riputati da per più.

 

 






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