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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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113. Le spacconerie1

 

Gni sordo-nato dice che ssei l’asso,2
e vvòrti3 l’ammazzati co la pala!
Prz,4 te fischieno, Marco: tiette bbasso:
c’ereno certi frati de la Scala.5

 

Te vedo, Marco mia, troppo smargiasso,6
e cquarchiduna de le tue se sala.7
Lassa de spacconà, nun er gradasso,
e aricordete er fin la scecala.8

 

A ssentí a tté fai sempre Roma e ttoma:9
e poi ch’edè? viè spesso e vvolentieri
chi ttarizzolla10 e tte ne na soma.

 

Ognomo hanno d’avé li su’ mestieri:
chi ffa er boia, chi er re, chi scopa Roma:
sei bbraghieraro tu? ffà li bbraghieri.

 

Morrovalle, 21 settembre 1831 - De Peppe er tosto

 

 




1 «Millanterie»: come spacconà sta per «millantare».

2 Asse: principal carta a vari giuochi.

3 Rivolgi.

4 Il suono del peto.

5 Parte di ciò che si suol dire e cantare a chi millanta, cioè: C’erano certi frati della Scala che dicevano cala cala. - Il Convento della Scala è in Trastevere, abitato dai Teresiani.

6 Smargiasso, smargiassata, smargiassare, tutti vocaboli sinonimi di «spaccone», ecc. Se non che lo smargiasso è «un millantatore che al romore delle parole unisce certa importanza di mimica».

7 Si sala onde fermare la corruzione.

8 A’ ciarloni si ricorda il fine della cicala, che canta canta e poi crepa.

9 Mari e monti.

10 Ti busse.

 

 






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