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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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190. Er pranzo de le Minente1

 

Mo ssenti er pranzo mio. Ris’e ppiselli,
allesso de vaccina e ggallinaccio,
garofolato,2 trippa, stufataccio,3
e un spido4 de sarsicce5 e ffeghetelli.6

 

Poi fritto de carciofoli e ggranelli,
certi ggnocchi da fàcce er peccataccio,7
’na pizza aricresciuta de lo spaccio,8
e un’agreddorce de ciggnale9 e ucelli.

 

Ce funno peperoni sott’asceto
salame, mortatella e casciofiore,
vino de tuttopasto e vvin d’Orvieto.

 

Eppoi risorio10 der perfettamore,
caffè e ciammelle: e tt’ho llassato arreto
certe radisce da slargatte er core.

 

Bbè, cche importò er trattore?
Cor vitturino che mmaggnò con noi,
manco un quartin11 per omo:12 e cche cce vòi?

 

Terni, 8 ottobre 1831 - D’er medemo

 

 




1 Vedi la nota 1 del Sonetto precedente.

2 Garofanato: specie di umido di manzo.

3 Altro umido tagliato in pezzi.

4 Spiedo.

5 Salsicce.

6 Quando è così nominato, intendesi sempre per «fegato di maiale».

7 Peccato di gola.

8 Comperata.

9 Cinghiale.

10 Rosolio.

11 Il quartino era una moneta d’oro del valore di un quarto di zecchino; oggi è rarissima e quasi irreperibile, ma n’è restato il nome di convenzione fra il volgo per dinotare paoli cinque.

12 Per «cadauno»: e in questo senso, il per omo vale anche per «donna».

 

 






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