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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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239. Le cose nove

 

Ma ttutte ar tempo nostro stinvenzione?!
Tutta la corona je se sfila!1


Per viaggià ssolo sce ne 2 ttremila!
Pellaria abbasta de gonfià un pallone;

 

pe tterra curri scento mijja in fila,
senza un cazzo3 cavallittimone;
pe mmare sc’è una bbarca de carbone
che sse4 spiggne cor fume de la pila.

 

Ma in quant’ar mare io mo dimannería5
s’oggi un cristiano co stingegni novi
pôzzi scampalla6 de finí in Turchia.

 

Perché cquer palo che llaggiú tte covi7
poderebbe sturbatte8 l’alegria.
Ggià, ppaese che vai8a usanza che ttrovi.

 

Roma, 17 novembre 1831 - D’er medemo

 

 




1 Sfilar la corona: metter fuori tutto di seguito.

2 Ce ne sono.

3 Affatto.

4 Si.

5 Dimanderei.

6 Possa scamparla.

7 Ti covi: Covare per «avere sotto».

8 Potrebbe sturbarti.

8a Aiu: trittongo alla maniera dei classici che fecero altrettanto; per esempio: Monosillabo: «un paio di calze di messer Andrea» (Berni); Dissillabo: «Farinata e il Tegghiaio che furdegni» (Dante); Trisillabo: «Non sia più pecoraio, ma cittadino» (Berni); «Perch’io veggio il fornaio che si prolunga» (Della Casa); Quadrisillabo: «Con un rinfrescatoio pien di bicchieri» (Berni), ecc.

 

 






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