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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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241. Lo scommido

 

Sor Inguento-de-tuzzia,1 a la grazzietta:2
m’ha dditto adesso quer taddeo3 de Sferra
che mme scercavio3a pe mmare e ppe tterra.
Che vve s’è ssciorto?4 Ecchene cquìna fetta.4a

 

Sapete eh, ddico a voi, sor fiaccoletta:


oh cquesta ppe ccristo ch’è ccascerra!5
Tutta sta furia cquì, sto serraserra,
eppoi scià5a la pitina a la linguetta!6

 

Volete vede7 che mmommó vvappoggio
’na rincarzata ar cofino,8 eppo’ un carcio
sei deta9 sotto ar zito dell’orloggio?

 

E sto cazzotto che vve fa scacarcio,10
sur gruggno vostro pijjacce11 alloggio,
pe ddàvve vinta la partita e ’r marcio.12

 

Roma, 18 novembre 1831 - Der medemo

 

 




1 Nome di scherno.

2 Modo di saluto, quando naturale e quando ironico.

3 Quel grullo.

3a Mi cercavate.

4 Cosa volete.

4a Ecchene qui ’na fetta; Ecchene un pezzo, ecc. Sono modi equivalenti a «eccomi qui; son da voi» e simili.

5 Bella, curiosa.

5a Ci ha: ha.

6 Cioè: «è mutolo».

7 Vedere.

8 Un colpo di mano al cappello, sì che discenda suglocchi.

9 Dita.

10 Vi fa timore.

11 Vuol prenderci.

12 Per darvi la derrata e la giunta.

 

 






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