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243. La piggion de casa
Nun
pôi1 sbajjà ssi vvôi.2 Cquà
ssu la dritta,
ner comincio3 der vicolo de Bbranca,
doppo tre o cquattro porte a mmanimanca4
te viè5 in faccia una pietra tutta scritta.
Svorta
er collo tra ll’oste e ll’artebbianca6
e ppropio attacc’a cquella casa sfitta
llí a ppianterreno sciabbita er zor Titta7
er barbiere a l’inzeggna de la scianca.8
L’hai
capito mó adesso indove arresta?9
Bbe’, ddomatina tu vvàcce a cquest’ora,
ché ll’ora lui de nun trovallo è cquesta.
Di’:
«Cc’è zor Titta?» «No». Tu ddijje allora:
«Disce zia che a ppagà viè st’antra10 festa11
ché gglieri12 lei lo rifasceva fora».13
Roma, 19 novembre 1831 - Der medemo
1 Non puoi.
2 Se vuoi.
3 Principio.
4 A mano manca.
5 Ti viene.
6 Venditore di minestre ed altri minuti.
7 Ci abita il
signor Giovan Battista.
8 I barbieri de’ luoghi meno civilizzati di
Roma usano ancora la vecchia insegna di una gamba in salasso, dinotante
la flebotomia, al cui esercizio erano essi obbligati, cosa che va cadendo in
disuso.
9 Resta.
10 Altra.
11
Le pigioni dell’infimo popolo si pagano per solito settimanalmente; e gli
stessi inquilini si recano a soddisfarle nelle domeniche, giorni per essi di
libertà non solo, ma di maggior facoltà per gli stipendi esatti il sabato sui
loro mestieri. Di più, questa frequenza di pagamenti in piccole frazioni riesce
insieme ai locatori di maggior facilità, ed ai locatori di minor rischio.
12 Ieri.
13 «Ella lo credeva assente
di bel nuovo». È frase altresì d’ingiurioso equivoco, esprimendo anche l’atto
del recere.
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