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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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249. Er cucchiere de grinza1

 

Un cazzo che vvarrabbi! A Ssan Ghitano2
so3 vventanni che bbatto la cassetta:
e nnun tienevo un pelo a la bborzetta
che Ttata4 me metté la frusta in mano.

 

Ma ssai tu a Rroma, a Nnapoli, a Mmilano
quanti cucchieri ho ffatti stà a la fetta?5
Sti bbanchieri6 strillaveno vennetta
riccojjenno li ferri7 da lontano.

 

Ho gguidate parijje io co la vosce8
c’averebbeno, a un ,8a ttramonto er zole,9
cavalli da ffà sseggni de crosce!10

 

E ssò arrivato co le bbrijje sole
a pportamme11 da ssedisci frosce!12
Duncue fâmo13 per dio poche parole.

 

In legno, da Morrovalle a Tolentino,

De Pepper tosto - 28 settembre 1831

 

 




1 Di vaglia.

2 Gaetano.

3 Sono.

4 Mio padre.

5 Ho tenuti in suggezione.

6 Cocchieri mal destri.

7 Raccorre i ferri, nel gergo volgare vale: «rimanere molto indietro nel corso».

8 Col solo soccorso de la voce.

8a Per modo di dire.

9 Tramontato il sole. Cavallo che tramonta il sole, cioè: «focoso e velocissimo».

10 Cavalli da sbigottire.

11 A portarmi.

12 Sedici froge: otto cavalli.

13 Facciamo.

 

 






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