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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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293. Li musi1 de lei2

 

Vèstete via, nun fâmo regazzate:
per oggi nun ppiove:3 è ttempo grasso.4
Ma nnun è ttempo, , dde ffracasso:
nu le vedi le nuvole squarciate?

 

Le carrettelle ggià ssò ttutte annate?5
E nnoi se6 n’anneremo a spass’a spasso.
Che cc’è da Ripa a Papaggiulia?7 un passo.
Poi, sibbè8 ppiove, pioveno sassate?!

 

Che ffiocca! fiocca er cazzo che tte frega!
ddo de guanto9 a un manico de scopa,
e tte tratto ppiú peggio de ’na strega.10

 

Che ffate a ccasa? nun c’è mmanco Muccio!11 Volete restà ssola, sora Popa,12
come un torzo de cavolo13 cappuccio?

 

30 novembre 1831 - De Pepper tosto

 

 




1 Star col muso: essere di malumore.

2 Lei: mia moglie.

3 Non vuol piovere.

4 Tempo grasso è quando l’atmosfera si vede ingombra di nuvoli immobili e come incantati.

5 Sono tutte andate.

6 Ce.

7 Dalla Ripa Grande in Trastevere sino al luogo suburbano detto Papa-Giulio, e dal popolo Papaggiulia, correrà una distanza di circa una lega.

8 Sebbene.

9 Dar di guanto, a ecc.: afferrare.

10 La scopa vuolsi essere il flagello delle povere streghe.

11 Giacomuccio.

12 Personaggio da marionette.

13 Restar sola come un cavolo, vale: «esser lasciato da tutti».

 

 






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