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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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369. Er marito stufo

 

Un giorn’o llantro che pper dio sagrato
me zompeno le verginemmaria,1


pijjo er cappello e mme ne vado via,
e mme do a la Pilotta2 pe ssordato.

 

E ddoppo disce, perché stai ’nciuffato!3
si ffussi un’antro in de li panni mia,
te vorebbe lavà ssenza lesscia4
cuer cucuzzone5 sempre impimpinato.6

 

Oh ttiramola via sta carrozzetta:
ridi che inzin che ddura fa vverdura;7
ma nun curatte8 de vedé la stretta.

 

Tu mme voressi vede in zepportura:
ma io, monta cquà ssú, ppijja sta fetta:9
propio l’hai trovo l’hai chi sse ne cura.

 

22 gennaio 1832 - Der medemo

 

 




1 Mi salgono i fumi, mi montano le creste, ecc.

2 Sulla Piazza della Pilotta è la Congregazione Militare.

3 Ingrugnato.

4 Lisciva, ranno.

5 Testa.

6 Acconciato.

7 Modo proverbiale.

8 Non ti curare.

9 Dicendo le due precedenti frasi, si batte colla mano destra sul braccio sinistro, il quale deve correre anch’esso contro la mano: gesto un po’ turpe.

 

 






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