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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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384. Per un punto er terno

 

stato un matto immezzo der ciarvello!
Meriterebbe un carcio ar perzichino.
Pe ffà er terno cor dua der girarello,1


nun ho scartato er tre dder cappuccino?!2

 

Cuanno c’ho vvisto chiude er butteghino3
e attaccà l’astrazzione a lo sportello,
ho bbuttato pe tterra er barettino
drent’a la fanga co ttutter cappello.

 

Tre ccom’un razzo prim’estratto, eh Checco?!
Millottoscento scudi per un pelo,
ché cce bbuttai tre ggiuli e mmezzo a ssecco.4

 

Eppuro er frate, arzanno er grugno ar celo,
disse in ner damme er Tre: cquesto cqui, ecco,
disce la verità ppiú der Vangelo.

 

 28 gennaio 1832 - Der medemo

 

 




1 Disco orizzontale, simile ad un quadrante, la cui lancetta in bilico, arrestandosi dopo un impulso, indica uno dei novanta numeri. Una delle varie specie di sorti alle quali ricorrono i dilettanti del lotto.

2 I cappuccini godono molta riputazione di prescienza numerica.

3 Prenditoria de’ Lotti, il cui ministro ne chiude la porta appena giunta la notizia della estrazione, che espone alla pubblica vista fuori di uno sportello, praticato nella parete superiore delle botteghe di Roma, per dar luce all’interno allorché sono serrate.

4 Quello è il giuoco a secco, in cui il giuocatore, per ottenere un premio più forte in caso di vincita di terno, promette di rifiutar quella dell’ambo.

 

 






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