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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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395. Momoriale ar Papa

 

Papa Grigorio, nun ppiú er cazzaccio:
svejjete da dormí, Ppapa portrone.
San Pavolo t’ha ddato lo spadone,
e ssan Pietro duchiave e un catenaccio?

 

Duncue, a tté, ffoco ar pezzo, arza cuer braccio
su ttutte ste settacce bbuggiarone:
lo scongiuro tuo, fajje er croscione,
serreje er paradiso a ccatenaccio.

 

Mostra li denti, caccia fora l’ogne,1


sfodera una scommunica papale
da fàlli inverminí com’e ccarogne.2

 

Scommunica, per Cristo e la Madonna!
E ttremeranno tutti tal e cquale
ch’er palazzo der prencipe Colonna.3

 

4 febbraio 1832

 

 




1 Le unghie.

2 Si crede dal volgo che gli scomunicati dal Papa muoiano inverminiti.

3 È costante credenza popolare che il Papa scomunichi ogni anno, nella vigilia di S. Pietro, il Re di Napoli, per la non prestazione del tributo dell’investitura, che prima, in detto giorno, si pagava colla cerimonia della Chinèa. Dice la plebe che il Papa profferisca in questa circostanza la seguente formola: ti maledico e ti benedico; e che, mentre pronuncia la parola di maledizione, tremi il palazzo del principe Colonna, fu Contestabile del Regno di Napoli.

 

 






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