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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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398. Er rompicojjoni1

 

Gni vorta, diosallarga,2 che mme sporgio3
a ttrovà Mmuccio4 che sta vverd’e mmezzo,5
ecchete er pertichino6 d’er zor Giorgio
che cce se pianta com’e Ccacco immezzo.7

 

Ma un giorno che pper tempo me n’accorgio
che cce le viè a scoccià8 ccome ch’è avvezzo,
me je fo avanti e ddico: «Eh soro sgorgio,9
ce l’avete scuajjati10 per un pezzo.

 

Pare, sor grugno de cascio marcetto,11 che ssarebbora de mutà bbisaccia
e mmette mano a un antro vicoletto».

 

A ste parole lui vorterà ffaccia:
ma ssi mmai nu la vorta, te prometto
d’impiegacce una bbona parolaccia.

 

5 febbraio 1832 - De Pepper tosto

 

 




1 Il petulante, ecc.

2 Interiezione.

3 Mi sporgo, mi affaccio, vado.

4 Giacomuccio, Giacomo.

5 Malaticcio. Mézzo, pronunciato come vezzo, vale: «vizzo, floscio».

6 Cavallo di giunta al tiro.

7 Modo proverbiale, che si pronunzia veramente Cacchimmezzo (cioè «in mezzo»), ma qui noi lo scriviamo per intero onde evitare l’h, da cui la parola si renderebbe equivoca.

8 Scocciar le palle e squagliare i cerotti, vagliono: «annoiare».

9 Nome di scherno che si alle persone mal fatte, specialmente nelle gambe.

10 Vedi nota 8.

11 Il cacio inverminito per pinguedine, che alcuni mangiano avidamente.

 

 






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