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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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413. La bballarina de Tordinone1

 

Freghete, Chiara, cuanti sguizzi novi!
E cché!, vvienghi de razza de sciriole?!
E ssarti e ggiravorte e crapiole!...2
Accidenti che ccianche t’aritrovi!

 

Frulli, pe ccristo, cuelle dustajole3
e un par d’occhiacci accusí ffurbi movi,
c’a nnoi sce succhi com’e rrossi d’ovi,
e li tu’ atti li pôi pparole.

 

Eh vviè, ppasciocca,4 ar prato de testaccio;5
viè, si tte schifi de bballà su cquello,
la sera all’ostaria der Gallinaccio.

 

Perch’io m’impegneria puro6 l’uscello
pe bballà inziem’a tté, ddoppo er carraccio,7
o ’na lavannarina o un zartarello.8

 

Roma, 20 febbraio 1832 - Der medemo

 




1 La valente mimica e danzatrice Clara Piglia. Intorno al Teatro di Torre-di Nona, vedi il poema del Carletti intitolato: L’incendio di Tordinona, e scritto in male imitato vernacolo romanesco.

2 Salti, giravolte, capriole.

3 Gambe.

4 Paciocca, cioè «bella e gradita donna».

5 Su Testaccio vedi il sonetto

6 Eziandio.

7 Il carro o carraccio, è certa specie di commedia in pessime ottave, nenia insoffribile cantata sul colascione e con le più sconce contorsioni, i di cui interlocutori, tutti uomini, sono sempre un ebreo, un facchino, una donna, specie di Pantalone, con un naso posticcio, ecc.

8 I due balli più in voga presso il volgo: il primo di essi è aiutato da un certo gesto di mani, anzi laidetto che no.

 

 






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