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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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479. L’immasciatore1

 

Ne le carrozze che mmó avemo trovo
co llacchè avanti e sservitori appresso,
c’è er Ministro der Re ch’è annato ar covo2
de cuer paese c’hanno fatto adesso.3

 

Disce4 che jj’abbi detto er Re a un dipresso:
«Conte, vattene a Rroma in borgo-novo,5
e ddí ar Papa, a mminome, ggenufresso:
Santo Padre, accusí me l’aritrovo».6

 

Questi ttutti fatti piani piani;
ma nun s’intenne come un Conte solo
s’ha dda chiamà Cquattordisci Villani!7

 

Val’a ddí ch’er zor Conte noi Romani,
ogni cuarvorta che cce va a ffasciolo,8
lo potémo chiamà DuVelletrani.9

 

Roma, 23 novembre 1832 - Der medemo

 




1 Il Ministo del Belgio, che presentò le sue credenziali al Papa il 23 novembre 1832.

2 Espressione beffarda, che vale «che è andato a occupare» ecc.

3 Il nuovo Regno.

4 Dicono, dicesi.

5 Il Vaticano, odierna residenza del Pontefice, è in fine di quel Borgo.

6 Formula che il Romanesco, al giuoco d’azzardo così detto del marroncino, pronunzia nel gettare una moneta, quasi protesta contro gli eventi contrari del suo giuoco.

7 Vilain xiv.

8 Ogni qualvolta ci piaccia.

9 Il popolo di Roma chiama i cittadini di Velletri: Velletrani, sette volte villani.

 

 






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