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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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484. La puttana e ’r pivetto1

 

Ma gguardatele llí cche bbelle poste!,2
che ccapitali da mmettémme gola!
Oh annate a ddà la sarciccetta3 all’oste:
annate a ffà la cacca a la ssediola.

 

Animo, lesto, sor fischietto,(1) a scôla;
e nnun ce state ppiù a ggonfià le coste:4
e ssi cciavéte a pparte la pezzola,5
currétesce a ccrompà6 le callaroste.7

 

Ma ddavero le purce hanno la tosse?8
Cosa, peccristo, da pijjalli a schiaffi,
e ffajje diventà lle guance rosse.

 

Scopamme! lui! ma llui! vedi che ccacca!9
Cquà cce vonno, per dio, tanti de bbaffi,
un zorcio com’e vvôi sopra ’na vacca.

 

Roma, 25 novembre 1832 - Der medemo

 




1 Ragazzo.

2 Avventori.

3 Salsiccetta.

4 Gonfiar le coste, vale: «molestare, annoiare».

5 Sogliono i fanciulli porre in serbo le loro monete o in vaso in cui è praticata una sottil feritoia che ne permetta l’accesso e non l’egresso, oppure involte e legate in una pezzolina.

6 Comprare.

7 Caldarrosto.

8 Proverbio, significante la vanità nell’impotenza, o la pretensione senza dritto.

9 Arroganza, pretenzioncella.

 

 






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