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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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578. Er confronto

 

Che! un zervitore appetto d’un cucchiere1


che ttiè in mano la vita der padrone?!
Un zervitore, c’o sta a ffà er portrone
sur cassabbanco,2 o arregge er cannejjere!3

 

Lo conosscete poco er mi’ mestiere,
sor Decàne,4 pe mmette er paragone:
e vve date a scropì5 per un cojjone
fascenno co sta scòrza6 er cavajjere.

 

Io guido li ppiù nnobbili animali
ch’Iddio mettessi in ne la terra vòta,
e ttu ttiri ar padrone li stivali.

 

Tra li cucchieri nun c’è ggente ssciota:7
ma ttu e li pari tui sai cuanto vali?
cuanto un zomaro e un uditor-de-rota.8

 

Roma, 9 dicembre 1832 - Der medemo

 




1 Sempre accesa è una generosa gara intorno alla dignità di un cocchiere posta in confonto con quella di un servitore.

2 Panca esistente nelle sale de’ servi.

3 Reggere il candelliere, tenere il moccolo, ecc., vale: «fare il testimonio degli altrui amori».

4 Decano dei servi di una famiglia, ma per omaggio si suole concedere questo titolo a qualunque altro servitore, al modo che si del reverendissimo ad ogni fratazzuolo.

5 Scoprire.

6 Livrea.

7 Sciocca.

8 Uditor di Rota è propriamente uno de’ xii prelati giudici di quel tribunale: ma in senso ironico dicesi anche de’ servi, per lo udir che fanno il romor delle ruote dietro a’ cocchi dei loro signori.

 

 






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