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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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608. Un antro vitturino

 

M’aricconta mi’ padre che l’Ingresi
c’ar zutempo a li stati papalini
ce vienivano a ffà li milordini,1


spenneveno da prencipi Bborghesi.2

 

Ma bbisogna che mmó cquelli paesi
abbino dato fonno a li cuadrini,
perché mmó sse la passeno a llustrini,3
e bbiastímeno4 poi d’avélli spesi.

 

Io m’aricordo sempre, m’aricordo,
d’uno che mme maggnò la bbonamano,5
e ppiú strillavo ppiú fasceva er zordo.

 

Io je disse però dda bbon romano:
«Accidentacci in faccia ar zor Milordo
ch’è sbarcato a la chiavica de Fiano».6

 

Roma, 14 dicembre 1832 - Der medemo

 




1 Dalla parola mylord è derivato in Roma il vocabolo di milordo o milordino, in significazione di «uomo azzimato».

2 Per dinotare ricchezze e splendidezza, il volgo introduce sempre il paragone della famiglia principesca dei Borghese.

3 Mezzi paoli d’argento.

4 Bestemmiano.

5 Soprappiù del prezzo di nolo, che i vetturini non mancano mai di pretendere, né mai di riputar sufficiente.

6 Cloaca che sembra un portone, patente nel bel cuore del Corso romano, intorno al palazzo degli Ottoboni Duchi di Fiano, prossima però adesso a scomparire, mercé la nuova livellazione già incominciata di quella via.

 

 






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