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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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687. Le carte in regola

 

Disceva er Papa a cchi jje stava intorno:
«Ah ffijji, fijji mii, fijji mii cari,
me pare ar fine ch’è arrivato er giorno
che smorzamo li moccoli1 a l’artari.

 

Ggià stanno pe arivà li Carbonari
pe ccòscese2 da loro er pane ar forno.
Dunque addio, fijji mii, fijji mii rari:
io scappo; e appena che vvò Iddio, ritorno.

 

Cqua le mi’ carte. Questo è ’r passaporto:
cuesto è ’r carteggio co Ddio bbenedetto:
cuesta è la fede der Papato corto.3

 

Cuella der bon costume? È in carta bbianca.
Cuella der mi’ bbattesimo? Sta in Ghetto.4
Cuella de stato libbero?5 Ciamanca».6

 

Roma, 29 dicembre 1832 - Der medemo

 




1 Presa anche questa espressione nel senso più semplice, lo smorzare, spegnere i moccoli, significa in Roma «esser finta».

2 Cuocersi.

3 Nel giorno consecutivo a quello della elezione del nuovo Pontefice, ebbe questi il primo annunzio della rivolta di Bologna, al momento stesso che s’incamminava col suo corteggio pontificale al Vaticano, onde prendervi la corona di uno Stato già forse a quell’ora non più suo.

4 Ricinto degli Ebrei. Dicesi in Roma in via di scherzo o di scherno «Va’ in Ghetto a prendere la fede del battesimo».

5 Anfibologia.

6 Ci manca.

 

 






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