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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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723. Le curze d’una vorta

 

Antro che rrobbi-vecchi!, antro c’aéo!1


Don Diego c’ha studiato l’animali
der Muratore,2 e ha lletto co l’occhiali
cuanti libbri stracciati3 abbi ar museo,

 

disce ch’er Ghetto adesso li palj4
pe vvia c’anticamente era l’ebbreo
er barbero de cuelli carnovali
a Testaccio5 e ar piazzon der culiseo.6

 

Pe ffalli curre, er popolo romano
je sporverava7 intanto er giustacore
tutti co un nerbo o una bbattecca8 in mano.

 

E sta curza, abbellita da sto pisto,
l’inventò un Papa in memoria e in onore
della fraggellazzion de Ggesucristo.

 

Roma, 10 gennaio 1833

 




1 Robbi-vecchi (colla o stretta) ed aéo (vedi…) sono le voci con le quali gridano per le vie di Roma gli ebrei ricattieri di straccerie.

2 Gli Annali del Muratori.

3 Libri vecchi, e più accreditati presso il volgo illuminato.

4 Il popolo crede, anzi quasi tutti i Romani sono di questo persuasi, che tutti gli otto palj, ai quali si corre dai cavalli in carnovale, siano tributati dagli Ebrei, per riscatto stipulato anticamente col magistrato civico di Roma dal correre essi stessi a trastullo dei Romani. Ecco la vera provenienza della prestazione dei palj.

5 Di Testaccio vedi la nota… del Sonetto

6 Colosseo: Anfiteatro Flavio.

7 Gli spolverava: spolverava loro: batteva.

8 Bacchetta.

 

 






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