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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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761. La Mess’in musica

 

, ll’ho ssentit’io puro1 all’Orfanelli2
sta gran messa a ccappella co li sòni
d’obboli,3 de trommette, de trommoni,
de violini, violoni e vvioloncelli.

 

E nnun 4 mmejjo assai li ritornelli5
su cquelli nostri cari calasscioni,
che ssentína gabbiata de capponi6
che7 tutt’er bono è nnun avé ggranelli?

 

E llui che stava immezzo a dajje sotto
co la bbotta obbrigata, nun pareva
che imminestrassi8 l’ojjo der cazzotto?

 

Co cquer zumuso color de sciscerchia
dava a la sorfa sua9 ’na scerta leva,
come discessi:10 «A vvoi, tanta de nerchia!».11

 

Roma, gennaio 1833

 




1 Pure.

2 Orfanelli. Chiesa di S. Maria in Aquiro, appartenente all’Orfanotrofio di Roma.

3 Oboè.

4 Sono.

5 Vedi il Sonetto

6 Musici castrati.

7 Il che è spesso adoperato come segno di relazione senza affisso di articolo: come dicesse de’ quali, ecc.

8 Ministrasse, dispensasse.

9 Solfa.

10 Dicesse.

11 Così (facendo un gesto sconcio, consimile a un certo modo del battere il tempo musicale) dice la plebe, per indicare la lunghezza e il movimento di cosa che il lettore troverà notata nel Sonetto

 

 






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