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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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817. Er focone

 

La sai la gran disgrazzia ch’è ssuccessa
a Rrocco er capo-presa,1 eh Furtunato?
Lui stava ar naviscello ch’è arrivato,
e la mojje era ita a ssentí mmessa.

 

Ebbè, er pupo2 c’aveveno lassato
ar focone cor fijjo de l’ostessa,
pe inchinasse3 a ppijjà una callalessa,
cascò ssur foco, e cce restò ggelato.4

 

Penza si5 cquanno aritornò la madre
dev’èsse stato er giorno der giudizzio,6
e ssi cche inferno ar riviení dder padre!

 

Perde7 un fijjo accusí,8 ccerto, è un zupprizzio;9
ma cche faressi10 a ste madracce ladre
ch’esponeno11 li fijji ar priscipizzio?

 

Roma, 23 gennaio 1833

 




1 Padron di barca, o direttor di essa.

2 Bambino.

3 Inchinarsi.

4 Restar gelato: morire all’istante.

5 Se.

6 Scompiglio, rovina di confusione e di pianto.

7 Perdere.

8 Così.

9 Supplizio.

10 Faresti.

11 Espongono.

 

 






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