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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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961. La notte dell’Asscenzione

 

Domani è llasscenzione: ebbè, sta notte
Nostro Siggnore pe bbontà ddivina
se ne ssceggne1 dar celo a la sordina,
mentre che lluniverzo o ddorme, o ffotte;

 

e vva ppe ttutte le maése2 rotte,
discenno3 ar grano: «Alò, ppassa e ccammina:4
l’acqua diventi latte, eppoi farina,5
pe ddiventà ppoi pasta, e ppoi paggnotte».

 

Ecco a li bbagarozzi la raggione
che jjaccennémo6 addosso li scerini,
cantanno er curri curri bbagarone.7

 

Ecco perché sse mette li lumini
a le finestre de le ggente bbone:8
perché Ccristo nun batti a li cammini.

 

Roma, 15 maggio 1833

 




1 Scende.

2 Maggesi.

3 Dicendo.

4 Frase de’ giuocolari nel far passare una o più palle dall’uno all’altro de’ lor bossoletti.

5 Veramente crede il popolo che nella notte precedente all’Ascensione discenda appositamente Gesù Cristo a cambiare in latte l’umore acquoso delle spiche.

6 Accendiamo.

7 La sera della vigilia si attaccano de’ sottili e cortissimi moccoletti sul dorso di grossi scarabei domestici, e cantasi loro con una monotona nenia: Corri, corri, bagaróne, ché domani è l’Ascensione: e i poveri animaluzzi, sentendosi bruciare in questo auto da-fé, corrono.

8 Le pie famiglie espongono un lampadario fuori de’ balconi, per illuminare la discesa del Redentore, al grande atto della trasformazione de’ frumenti.

 

 






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