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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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971. La diliggenza nova

 

Io, dijje1 a cquela testa de cucuzza
de la sposa der fijjo de Vincenza,
c’ho vviaggiato una vorta in diliggenza
inzin’a un po’ ppiú in dde la Merluzza.2

 

E cche llí bbisoggnava, co lliscenza,
tiené le chiappe, pe ssentí cche ppuzza
de vacchetta e vvernisce! E llei sce ruzza3
a scramà4 che la pippa è una schifenza.

 

Tre ggiorni prima che lleusscissi in zanti,5
je s’incordò la panza per sospetto
ch’io je fussito co un zicàrio6 avanti.

 

Pènzete7 dunque che ssaría de lei,
si jjentrassi8 de posta9 sott’ar letto
la diliggenza mia cor tir’a ssei.

 

Terni, 27 maggio 1833

 




1 Dirgli, per «dille».

2 Luogo a quindici miglia da Roma, sulla Via...

3 Ci scherza.

4 Esclamare.

5 Che ella uscisse in sanctis. Le donne, dopo i quaranta giorni del puerperio, vanno a farsi purificare in chiesa coll’acqua-santa di cui il prete le asperge dietro la offerta di una candela, successa all’antico paio di colombe: e ciò chiamasi «uscire in sanctis ». Per tutto il lasso del detto puerperio, le romane almeno, non possono patire odori di sorta, senza grave rischio di vita, al che contribuisce spesso la fantasia.

6 Sigaro, zigaro o cigaro.

7 Pènsati.

8 Se gli (le) entrasse.

9 Tutto ad un tratto.

 

 






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