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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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993. Lo scalìn de Rúspoli1

 

E aringrazziamIddio: mancozimale.2
Oh ttiette3 poi dar rinegà la fede!
Ciavemio4 quer boccon de marciapiede
d’affittacce5 le ssedie er Carnovale;

 

nonziggnóra: viè6 er Zagro tribbunale
de le strade, e cchedè?7 cce ffà ccrede,8
perché la ggente nun ze metti a ssede,9
ch’er Corzo10 come stava stassi11 male.

 

E ssubbito, aló,12 mmano a li picconi,
e pper aria sto povero scalino.
Perché ppoi? pe ingroppà13 cquattro maggnoni.

 

Ma inzinenta14 a li serci15 e ar travertino
s’ha da roppeje16 a Rroma li cojjoni?
Ah! ppe cquer cristo, è un gran porco distino!

 

27 ottobre 1833

 




1 Fra i molti scalini che deturpavano la via del Corso di Roma, è celebre quello che ricorreva lungo tutto il palazzo Ruspoli. Ivi affluiva in carnevale il maggior concorso di maschere: ivi accadevano le più rumorose scene di que’ giorni di baccanale: ivi finalmente era il centro de’ famosi moccoletti. Ora è scomparso per la nuova livellazione di quella contrada, che apparisce fiancheggiata di bassi e tutti uniformi gradini.

2 Manco-male: ironia di va-bene.

3 Tienti.

4 Ci avevamo.

5 Da affittarci.

6 Viene.

7 E che è?

8 Ci vuol far credere.

9 A sedere.

10 Che il Corso.

11 Stasse.

12 Colla o chiusa: l’allons dei francesi.

13 Per arricchire.

14 Insino.

15 Selci.

16 Rompergli.

 

 






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