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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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994. Er galoppino1

 

Dico, pe ccristallino fino fino,2
quanno ve n’anneressivo3 a ffà fotte?
Ma nun v’abbasta mai, eh sor paino,
de sgranà4 le mi’ povere paggnotte?

 

Viè ppe dduggiorni, e mmommó5 ssemo inzino
da sei mesi e un po’ ppiú cche ggiorn’e nnotte
me se ròsica l’osse crud’e ccotte,
manco s’io fussi er fío6 der Re Ppipino.

 

Disce: t’agliuto7 a ccosce8 l’ova-toste.9
E cquelle ch’arifate a la cassetta?10
e cquellantre che vvèrivo11 anniscoste?

 

Quest’è ccome er rosario de Ninetta,12
quanno contempra13 l’agliuto de coste
de la Madonna a SsantElisabbetta.14

 

27 ottobre 1833

 




1 Il parasito.

2 Questa frase è uno de’ trovati de’ cristiani scrupolosi per bestemmiare e non bestemmiare.

3 Quando ve ne andreste.

4 Di divorare.

5 Or’ora.

6 Il figlio.

7 Ti aiuto.

8 Cuocere.

9 Gli uovi-duri.

10 Che rifate al cesso.

11 Quell’altre che vi eravate.

12 Caterinetta.

13 Contempla.

14 Della quale Madonna è voce che stesse tre mesi con suo marito mangiando e beendo alle spalle di Zaccaria.

 

 






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