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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1056. La regazza cor muso1

 

Sora sposa,2 che! avete er pidiscello,3
che mme4 state color de terroriana?5
Ve s’è ssciorto er bellicolo6 in funtana?7
Dite eh? vve s’arivòrtica er budello?8

 

La volete sapé, ccore mio bbello?
A vvoi v’amanca quarche ssittimana.9
Lo sapete ch’edè? Voi, sora Sciana,10
sete matta in ner mezzo de ciarvello.

 

Come sarebb’a ddí? ccosa ve dôle?11 Animo, fora, fàteve usscí er fiato.12
Forte: nun masticamo le parole.

 

L’avete detto a mmé cche ssiimpiccato?
E io ve dico ste ducose sole:
fate per voi, perch’io, fijja, ho spallato.13

 

14 gennaio 1834

 




1 La amante in collera.

2 Sposa si dice per titolo di cortesia a tutte le donne, delle quali non si sappia il nome. Talora è anche una ironia usata con quelle che si conoscono.

3 Siete trista? come i polli quando diconsi avere il male del pedicello.

4 Mi.

5 Del colore di terroriana: del color terreo che l’ira.

6 Vi si è disciolto l’umbillico? Vale: «siete stranita?».

7 Cioè: «stando in fontana».

8 Rivoltarsi il budello, equivale al senso espresso nella nota 6.

9 Mancare altrui qualche giorno, qualche settimana dell’anno, vuol dire: «esser pazzo».

10 Ciana, donna dedita all’adornarsi con caricatura.

11 Cosa avete?

12 Parlate.

13 Espressione tolta dal giuoco di carte chiamato la bazzica, e significa: «Prendete per voi le vostre parole, poiché io son fuori di questo giuoco a cui mi chiamate».

 

 






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