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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1060. L’arberone1

 

Immezzo all’orto mio sc’è un arberone,
solo ar Monno,2 e oramai tutto tarlato:
eppuro3 fa er zu4 frutto oggni staggione
bbello a vvede,5 ma ascerbo e avvelenato.

 

Ricconta un libbro che dda quanno è nnato
è vvienuta a ppotallo6 oggni nazzione;
ma er frutto c’arifà7 ddoppo potato
pizzica che nemmanco un peperone.

 

Quarchiduno8 me disce d’inzitallo,9
perché accusì er zufrutto a ppoc’a ppoco
diventerebbe bbono da maggnallo.

 

Ma un Carbonaro amico mio me disce10
che nnun c’è antro11 che llaccetta12 e ’r foco,
perché er canchero sta in ne la radisce.

 

15 gennaio 1834

 




1 L’alberone. Questa è un’allegoria da cercarne il senso nella Vigna del Signore.

2 Unico al Mondo.

3 Eppure.

4 Il suo.

5 A vedere.

6 È venuta a potarlo.

7 Che rifà.

8 Qualcuno.

9 Mi dice d’insitarlo, innestarlo.

10 Mi dice.

11 Altro.

12 La scure.

 

 






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