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Giuseppe Gioachino Belli
Sonetti romaneschi

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1096. Li Carnacciari1

 

Nun ciannassi2 a cquestora ar Monistero,
ché cquesta è ppe le Madre ora canonica
de curre3 a ddà l’assarto4 a la bbucconica5
con una lanca6 da lupo-scerviero.

 

Figúrete che jjeri quela Monica
che jje premeva tanto un gatto nero,7
ar zentí8 la campana, è ppropio vero,
se sgarrò9 ppe scappà ttutta la tonica.

 

Si10 ttu jje porti adesso la carnaccia,
nun zearrivato e ggià la portinara
pijja la porta e tte la sbatte in faccia.

 

Piú ppresto,11 quanno mai,12 vacce magara13
a or14 de Coro, e ggnisuno te caccia.
Impara, fijjo, a stà in ner Monno, impara.

 

16 marzo 1834

 




1 Girovaghi mercatanti di carne di carogna, per cibo di gatti.

2 Non ci andassi: non ci andare.

3 Di correre.

4 A dar l’assalto.

5 Al cibo. Questa voce burlesca usata anche dalle classi superiori, vanta derivazione nientemeno che classica: viene cioè dal vocabolo Buccolica di Virgilio Marone, per la affinità del suono con quello di bucca, bocca.

6 Bramosia.

7 I carnacciai rubano e vendono gatti: e le monache hanno anch’esse le loro innocenti predilezioni pevari pelami di quelle bestiuole.

8 Sentire per «udire».

9 Si lacerò.

10 Se.

11 Più presto, per «piuttosto».

12 Quando mai: al piuppiù.

13 Vacci magari.

14 Ad ora, ecc.

 

 






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